Il dibattito sulla guerra in Ucraina e sul conflitto tra Israele e Palestina rischia di far passare in secondo piano quella che si annuncia come la riforma più controversa della storia repubblicana. Il c.d. “regionalismo differenziato” rappresenta, infatti, una riforma che sconlvolge l’architettura istituzionale del nostro Stato che i padri costituenti avevano concepito nella chiara consapevolezza delle profonde disomogeneità territoriali presenti nel paese. Come sappiamo, la bozza del ministro Calderoli contempla il trasferimento alle Regioni di ben 23 materie ma non dice nulla sulla necessità di garantire su tutto il territorio nazionale “i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”, come recita la Costituzione (art. 117, comma 2). Si badi bene, non si tratta di una semplice distrazione perché, come è stato rilevato da molti costituzionalisti, siamo davanti all’ipotesi di una “secessione soft”, meglio ancora, di una “secessione dei ricchi”, come è stata definita da Gianfranco Viesti nel suo ultimo, pregevolissimo libro che andrebbe letto nelle scuole. Attorno a questo tema continuano a sussistere molteplici ambiguità anche in ordine al comportamento della stampa italiana che seguita a non dare il giusto risalto ad una riforma i cui effetti devastanti sull’impianto costituzionale hanno già suscitato il radicale dissenso di esponenti autorevoli che i nostri politici farebbero bene ad ascoltare. Non tutti sono al corrente, ad esempio, delle dimissioni di prestigiosi costituzionalisti dalla commissione parlamentare “Livelli essenziali delle prestazioni”, oppure dei molteplici interventi della CEI, del severo rapporto dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, della sonora bocciatura da parte dell’Unione europea e, più recentemente, della lettera inviata da Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, a Sabino Cassese, presidente della Commissione parlamentare sopracitata. In questa lettera Visco deplora l’arbitrarietà con cui sarebbero stati selezionati i 223 “Livelli Essenziali delle Prestazioni” che rendono alquanto aleatoria la scelta tra le materie LEP e non LEP. La cosa più grave è che, ad oggi, l’opinione pubblica ignori quali siano esattamente i 223 criteri scelti dalla Commissione che dovrebbero costituire fin da ora oggetto di dibattito parlamentare. Di contro, stando alle cronache, perfino il Parlamento risulterebbe ancora all’oscuro di questi criteri che la commissione Cassese custodirebbe in gran segreto. Inutile dire che si tratta di una modalità che non lascia presagire nulla di buono. Dal tenore delle missiva di Ignazio Visco risulta agevole arguire che, ad esempio, in relazione alla quantificazione dei costi, la commissione intenderebbe adottare il criterio della spesa storica dei servizi che finirebbe per cristallizzare le gravi disparità territoriali esistenti nel paese. Già solo questo costituirebbe un argomento esplosivo sul quale si innescherebbe, prevedibilmente, un clima di contrapposizione che porterebbe il paese ad una spaccatura senza precedenti. Si capisce, pertanto, che si vuole preservare i lavori della Commissione dal rischio di un dibattito che si annuncia aspro e difficile da gestire. Tuttavia, non si può neppure pensare di calare dall’alto una riforma e mettere il cittadino con le spalle al muro discutendo di regionalismo differenziato solo a fatto compiuto. La nostra opinione, pertanto, è che il disegno di legge Calderoli debba costituire oggetto di dibattito pubblico in tutte le sedi, istituzionali e non, affinché ogni cittadino abbia contezza dell’impatto di tale riforma sugli equilibri sociali e territoriali del nostro paese. Il ministro Calderoli sa bene che siamo davanti ad un passaggio delicato della storia repubblicana. La sensazione è che siano gli altri partiti a non saperlo per cui sarebbe auspicabile che, fin da subito, siano resi pubblici i 223 criteri in base ai quali sono stati selezionati i “livelli essenziali delle prestazioni”. La crisi di rappresentanza che ha investito la nostra democrazia va imputata a questo modo distorto, perfino strampalato, di concepire il rapporto tra cittadini e istituzioni. La politica italiana continua ad avere il vezzo di nascondere al cittadino le fasi di cui si compone un processo decisionale così da farlo sentire disarmato e impotente. Non è così che funziona una democrazia che, piaccia o no, resta una cosa seria da trattare con cura. 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *