“Vengono definiti “screenagers”, o Generazione Alpha. Sono i nati dopo il 2010, successori della Generazione Z. Si tratta dei ragazzi cresciuti con la protesi di uno schermo, quello dello smartphone e dei tablet, a cui alla sera si affiancano le piattaforme tv (Netflix, Amazon, Dazn, ecc.).

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Malgrado sembrino entità aliene che non ci appartengono, stiamo parlando dei “nostri” ragazzi che abbiamo lasciato alla mercè di un dramma generazionale destinato ad aggravarsi con il dilagare dell’intelligenza artificiale. Siamo davanti ad una vera e propria “emergenza sanitaria” (definizione del ministro della Salute, Schillaci) che la società continua a sottovalutare, per ignavia o per quella irrefrenabile inclinazione di una società di vecchi ad ignorare i giovani. Le cronache raccontano che sarebbero quasi due milioni gli adolescenti che evidenziano una dipendenza in grado di recare disturbi mentali e alimentari: dipendenza dai media, dai social, dai videogiochi e, talora, dal cibo.

Il quotidiano “La Stampa” ha recentemente condotto una serie di inchieste da cui sono emersi alcuni dati inquietanti il più allarmante dei quali consiste nell’attitudine, per fortuna minoritaria, di alcuni adolescenti a isolarsi dal mondo stando chiusi in casa per settimane: sono i cosiddetti “Hikikomori”, ragazzi che il mondo della scuola avrebbe dovuto trattenere ma che, di contro, sono stati espulsi anzitempo, con buona pace di un sistema scolastico strutturalmente incapace di interpretare questa sorta di mutazione antropologica che è stata inflitta silenziosamente ai nostri giovani. Il fenomeno statisticamente più diffuso riguarda, tuttavia, la consultazione incontrollata e compulsiva dei social (Facebook, Instagram, Tik Tok o Twitch).

Lo vediamo ovunque: in famiglia, a scuola, per strada, sui bus, perfino al cinema. Si tratta della cosiddetta “social media addiction” di cui, stando alle inchieste citate, sono le ragazze a soffrirne maggiormente. Dalle ricerche si evincerebbe, invece, che i ragazzi preferiscono rinchiudersi in camera per dedicarsi ai videogiochi: spesso per ore, anche fino a tarda notte, lontani dallo sguardo dei genitori. La playstation resta il dispositivo prediletto dai ragazzi che godono spesso, della complicità dei padri che, unendosi al gioco, improvvidamente avallano l’acquisto di una macchina che, in modo lento e inesorabile, determina gravi deficit di concentrazione in ogni altra attività. La dipendenza dallo schermo finisce per alimentare quella pigrizia che ha vitale bisogno di riempire i vuoti di una quotidianità vissuta noiosamente, talora in compagnia di un’assunzione incontrollata di cibo (c.d. “disturbo di food addiction”).

Ma c’è altro. Anche a causa di alcuni fatti clamorosi, negli ultimi anni l’attenzione dei media è stata rivolta maggiormente al cyberbullismo. Secondo i dati raccolti dalla “Sorveglianza Health Behaviour in School-aged Children Italia”, il cyberbullismo rappresenta un fenomeno in aumento che coinvolge circa il 15% dei ragazzi e il 19% delle ragazze tra gli 11 e i 13 anni. Da tutti questi dati che abbiamo succintamente illustrato discende la necessità di prendere atto che la dipendenza dai social rappresenta, nelle sue molteplici manifestazioni, un’emergenza sociale che non possiamo più fingere di ignorare. Tutti concordiamo sul fatto che l’avvento delle nuove tecnologie abbia determinato una frattura culturale difficilmente componibile che ha prodotto nei giovani modi di pensare e di agire radicalmente diversi dal passato. Ma, purtroppo, non c’è solo questo. Occorre, infatti, riconoscere che in larga parte dei nostri ragazzi prevale un atteggiamento di indolenza che li fa apparire perfino mansueti: in realtà, è solo indifferenza, atonia, demotivazione.

La scuola rappresenta il luogo privilegiato in cui questo vuoto identitario si manifesta in modo dirompente. Lo sguardo annoiato degli alunni costituisce la perfetta metafora di un corto circuito che ha lentamente eroso un tessuto sociale che occorre ricostruire al più presto se vogliamo ancora dare un senso alla nostra esistenza, individuale e collettiva. La conoscenza e il sapere rappresentano l’unico rimedio per arginare una patologia di massa che tutti abbiamo finto di ignorare volgendo lo sguardo altrove oppure occupandoci di altro. Poiché non sono stati i ragazzi ad aver costruito questo mondo, stiamo attenti a non tradirli per la seconda volta dirottando sui figli le colpe dei padri.”

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