Nel gentil Consiglio della città d’Erba, sotto le volte d’un giugno sereno, s’adunarono li membri del consesso per udire e disputare d’un sol pensiero: la mozione d’un cor gentil chiamato Torchio. Costui, vestito d’abito severo, levossi in pie’ e con voce che tremava tra passione e impegno, invocò che fosse ritirato il disegno onde s’adornasse il Corso XXV Aprile, ché a suo dir portava doglie e travaglio a chi là vive e merca, e stretto viario ai carri d’andare.
A lui s’uniron gli altri cinque spiriti di minoranza, l’un dopo l’altro, come damigelle ferite d’Amore, che piangon l’abbandono d’un sogno non compiuto. «Oh crudele sorte!» dissero, «ché mai ci fu dato lume o consiglio intorno a cotal impresa! Eppure nel passato consiglio, li banchi della maggioranza si vuotarono come letto disertato, ma i Fratelli d’Italia là restaron, muti testimoni d’un amore diviso!»
Ed ecco, nel silenzio grave, levarsi la voce di Mario Muscari, capo e scudo de’ cuori fedeli alla corona civica. Egli si fece innanzi con passo composto e viso che non celava pietà, né rinunciava a la forza.
Con parole cesellate come gioielli d’avorio, egli lesse dal cuor suo questo detto:
«O voi che l’Amore move in Consiglio, la mozione che a noi perviene è priva di nobile intento, ché non reca consiglio né consiglio domanda.
Ella chiede, senza dolcezza né misura, che l’opra del Sindaco e de’ savi architetti sia interamente spezzata e gettata via.
Non v’è in essa lume di correzione, né desiderio di bellezza maggiore, ma solo negazione dell’essere.
E voi dite che il senso unico è errore, ma non vedete come tale via fu studiata da genti d’arme e d’ingegno, ora e in tempo andato.
Chi si levò dall’aula l’altro dì non fuggì la contesa, ma ripudiò la steril querela.
Noi oggi pur ascoltiamo, e pur ascoltando, nulla di novo nasce da voi se non il grido della nostalgia e del non voler mutar.
Pertanto, col cuor saldo ma gentile, respingiamo la vostra domanda, ché non guida il bene, ma l’offesa.
E tenete ancor memoria, ché la nostra mano ha portato in città opere per dodici milioni d’oro: piazze, vie, spazi di vita nova.
Non in sogni, ma in pietre e progetti si misura il nostro amore per la città.»
E così detto, ricadde il silenzio.
Le minoranze tacquero, come fanciulle a cui l’amato rivela ch’egli non potrà corrispondere il lor ardore. Ma pur restaron lì, ché chi ama la città non fuggirà mai da essa.
E il consiglio si sciolse, mentre fuori l’aria profumava già d’estate.
