Si fa sempre più concreto il rischio che le tre destre al governo del paese si vedano costrette, prima o poi, a fare i conti con le profonde contraddizioni che le connotano. La sensazione è che, malgrado le affinità su fisco e immigrazione, siano numerosi i temi su cui l’esecutivo tende a dividersi disegnando alleanze interne sempre variabili.
La politica estera della Meloni, ad esempio, seguita a pencolare tra l’atlantismo “trumpiano” di Fratelli d’Italia e il putinismo di Salvini a cui è inibito esprimere le proprie simpatie per il caudillo russo il quale, a sua volta, può contare sull’amicizia di Berlusconi ma non di Forza Italia di cui è nota la spiccata vocazione europeista.
Occorre ammettere che queste incoerenze ci riportano ai fasti del vecchio adagio “Franza o Spagna, purchè se magna”, come dimostrano anche gli affari che il nostro Paese continua ad intrattenere con Arabia Saudita e Qatar di cui tutti fingono di dimenticare il sostegno finanziario al terrorismo islamico.
Sul piano della politica interna, le contraddizioni esistenti all’interno del governo sono numerose e, talora, incompatibili. In tema di pensioni, ad esempio, la Lega conferma la propria risoluta ostilità alla legge Fornero che all’epoca fu votata anche da Forza Italia e Fratelli d’Italia i quali, non a caso, su questo argomento preferiscono glissare.
Parimenti, sul tema della Giustizia risultano macroscopiche le discrepanze tra Berlusconi e la Meloni la quale, nei confronti della magistratura, ha sempre avuto un approccio profondamente diverso dal Cavaliere. Su questo terreno Berlusconi potrà contare sul sostegno di Salvini ma non della premier di cui traspare con sempre maggiore evidenza il dissenso sull’operato del ministro Nordio, troppo rancoroso per poter interpretare con la giusta autorevolezza una stagione che, nel campo della Giustizia, si annuncia ricca di riforme.
Inutile nasconderlo, le contaminazioni e le transumanze in corso tra Forza Italia e Fratelli d’Italia non sono sufficienti a cancellare alcuni tratti identitari della destra italiana di cui tutti ricordano, all’epoca di Mani Pulite, il pieno appoggio alle procure.
La verità è che, nella lotta contro corruzione e criminalità organizzata, nel nostro Parlamento si disputano il campo due visioni contrapposte, difficilmente componibili e, talora, non prive di ambiguità. In un paese normale, ad esempio, la cattura di Messina Denaro sarebbe stata l’occasione per rafforzare lo strumento delle intercettazioni senza il quale non sarebbe stato possibile realizzare le investigazioni che ne hanno favorito l’arresto. Ma, evidentemente, non siamo un paese normale e, forse, non lo saremo mai come dimostrano le inchieste sulle trattative tra Stato e mafia che rappresentano un “unicum” di cui vergognarsi. Basterebbe questa riflessione per capire perchè, dopo avere decapitato Cosa Nostra grazie alle intercettazioni, oggi si discuta dell’opportunità di ridurne l’utilizzo.
Per Giorgia Meloni, pertanto, non sarà facile districarsi tra le maglie di una coalizione di cui iniziano ad affiorare, in modo sempre più dirompente, le profonde contraddizioni di cui si diceva all’esordio. Si ponga mente al “regionalismo differenziato” che rappresenta una riforma che collide in modo significativo con il progetto presidenzialista del premier. Come sappiamo, la bozza del ministro Calderoli contempla il trasferimento alle Regioni di ben 23 materie ma non dice nulla sulla necessità, come recita la Costituzione, che “i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (art. 117, comma 2).
Si badi bene, non si tratta di una semplice distrazione perché, come è stato rilevato da molti costituzionalisti, siamo davanti all’ipotesi di una “secessione soft” che, in quanto tale, non potrà mai trovare l’avallo di Giorgia Meloni alla quale non interessa portare a compimento la riforma presidenziale in un paese definitivamente frantumato e diviso. Tra le cose curiose della politica italiana vi è anche questa: a preservare l’unità e l’indivisibilità della nostra Repubblica, come recita l’art. 5 della Costituzione, ci sarà sicuramente lei, la Giorgia nazionale.
Si immagini che perfino Bonaccini, futuro segretario del Pd, risulta tra gli artefici di questa riforma dissennata che finirebbe per dare il colpo di grazia al Mezzogiorno. Ecco perché la Meloni farebbe bene a guardarsi dagli alleati: il vero pericolo sono loro e non questa sinistra che si vergogna di essere di sinistra.