Dopo le elezioni europee per Giorgia Meloni sembrava giunto il momento di accreditarsi in Europa come leader di uno schieramento conservatore in grado di dare il benservito alla Von Der Leyen e alla sua potente nomenklatura.
I fatti hanno dimostrato che, come accade a sinistra, anche nella destra europea convivono più anime che, seppur accomunate da una profonda avversione per la costruzione comunitaria, coltivano visioni significativamente diverse in ordine ai riferimenti internazionali.
In verità, risulta innegabile che esista un sovranismo filo-russo e un sovranismo filo-americano di cui, rispettivamente, Matteo Salvini e Giorgia Meloni rappresentano gli orgogliosi corifei. I risultati elettorali in Inghilterra e in Francia hanno scongiurato, per ora, il pericolo della “marea nera” che incombeva sull’Europa. Saranno, tuttavia, le prossime elezioni americane il vero fattore in grado di incidere concretamente sulle sorti dell’Ue.
Per tutte queste ragioni, Giorgia Meloni farebbe bene a chiarire quale sia esattamente il ruolo che intende svolgere dimostrandosi pronta a riconoscere la necessità che fedeltà atlantica e fedeltà europea restano due opzioni irrinunciabili e, conseguentemente, inscindibili. Parimenti, il premier non può fingere di ignorare che esiste un problema oggettivo legato all’identità della destra italiana che va risolto fugando tutte quelle ambiguità che favoriscono collusioni, anche involontarie, con ambienti poco rassicuranti sul piano dell’affidabilità democratica.
Si tratta di un tema che urta la suscettibilità degli esponenti di Fratelli d’Italia spesso inclini a ritenerlo il solito argomento, stucchevole e pretestuoso, della solita sinistra “rosicona”. Restiamo ai fatti. Occorre rammentare che, nell’ultima legislatura, Fratelli d’Italia ha goduto di una rendita di posizione derivante dalla scelta lungimirante di restare fuori dall’esecutivo. Passando dall’opposizione ai banchi del governo, la Meloni ha avuto la sagacia di proporsi in Europa con un aplomb ben lontano dai toni tribunizi del passato. Va detto, tuttavia, che l’approdo liberale della destra italiana, da tutti auspicato, postula la necessità di recidere definitivamente i legami con una “certa” cultura di cui Giorgia Meloni tende, troppo spesso, a tollerare i bollori e i rabbiosi sentimenti revanscisti.
In verità, il frequente richiamo all’identità nazionale e ai “patrioti” rappresenta un lessico che andrebbe depurato dalle fervide suggestioni del passato. La patria resta un concetto che evoca l’appartenenza ad un quadro di valori condiviso che, per gli italiani, restano quelli consacrati nella Costituzione repubblicana. In caso contrario, la nozione di patria finirebbe per caricarsi di una connotazione ideologica inevitabilmente divisiva.
Giorgia Meloni, pertanto, si trova davanti ad un bivio: conservare con fierezza la vecchia carta di identità o rinnovarla all’insegna di quei principi che costituiscono il collante di una nazione moderna, aperta, solidale e cosmopolita. In quest’ottica, la “battaglia” sul regionalismo differenziato e sul premierato non incoraggia a credere che la premier voglia battere la strada della condivisione. Invero, la contrapposizione tra Nord e Mezzogiorno, acuita dalla riforma Calderoli, sconfessa apertamente qualunque ipotesi interpretativa improntata al “patriottismo”.
Lo stesso premierato, di cui non si conoscono precedenti in altri Stati, sembra fondarsi su una spiccata impostazione anti-parlamentare e su una vocazione personalistica che collidono palesememte con lo spirito di una Costituzione liberale e democratica. Sarebbe, pertanto, delittuoso sottovalutare gli effetti delle riforme disegnate dal governo che rischiano di spingere il paese verso una feroce stagione referendaria destinata a dividere gli italiani più di quanto lo siano già. Occorre, infatti, preparare il paese alla prospettiva di un referendum abrogativo (sul regionalismo differenziato) e di un referendum confermativo (sul premierato) che rappresentano due passaggi laceranti destinati a lasciare tracce profonde nella società italiana. Avere senso della patria significa scongiurare un simile scenario dimostrando al paese che, a guidarlo, non c’è un comune leader di partito ma un vero statista. Vediamo se Giorgia Meloni ne sarà capace.