“Anni fa, parecchi anni fa, ero un relitto. Non un relitto umano, perché la mia umanità non era intaccata, ma un relitto fisico e psicologico.
Niente famiglia, un lavoro umiliante, niente amici, pochi soldi, molto alcool e molte sigarette. 120 kg che si trascinavano stancamente senza meta, senza futuro, solo con il sottile e perfido piacere della disperazione.
Decine le volte nelle quali mi sono detto: “Voglio cambiare”. Non cambiava mai nulla. Funzionava un giorno, due, tre, poi ripiombava l’abisso dell’abitudine rassicurante della solitudine, con bicchieri di vino e sigarette delle quali nemmeno ricordo la marca. Tornava sorridente l’unico amico che avevo: il vittimismo, il mio alleato, il mio consigliere più fidato.
Un giorno decisi una cosa strana: “Da oggi non prenderò più l’ascensore scendendo dal quarto piano”, dove abitavo in un monolocale. Era il 1° Luglio, periodo nel quale il sole, il caldo, i colori, svelano ancora di più la nostra voglia di socializzare, di divertirsi.
Niente divertimento per me, ma solo questa assurda lotta quotidiana con l’ascensore. Credo non ebbi nemmeno il coraggio di dirmi che percorrere le scale a piedi, pur se in discesa, un minimo di vantaggio fisico me lo procurasse.
Ogni volta che uscivo di casa osservavo la tastiera dell’ascensore, le frecce, i colori e le luci del display. Parecchie volte premetti sul tasto di discesa, ma quasi sempre mi ero già incamminato quando la cabina giungeva al piano. Un paio di volte la attesi, lasciai che le porte si aprissero, entrai, poi uscii nuovamente per scendere a piedi.
I giorni di luglio passavano tra alcool, fumo e l’ascolto di persone che programmavano le vacanze. Passavano osservando dal balcone la piazza colorata piena di ragazzi che ridevano. Quando incrociavo il loro sguardo ero convinto ridessero di me, malgrado non fosse così.
Il 31 luglio si avvicinava sempre di più, sempre di più. L’ultimo giorno fu il più difficile, proprio l’ultimo, il 31. Una forza misteriosa mi spingeva a prendere l’ascensore, sembrava che mi trascinasse. Ricordo l’episodio quasi fosse stato uno scontro fisico: raccolsi tutte le mie forze e cominciai a scendere le scale, con le gambe che mi sembravano di piombo.
Ricordo il 1° agosto. Quando uscii osservai l’ascensore. Sorrisi di fronte alla tastiera. Mi sentii come Sylvester Stallone in Rocky. Alzai le braccia. Ce l’avevo fatta. Per la prima volta in vita mia ce l’avevo fatta.
Ora volevo di più: ora agosto l’avrei dedicato a salire le scale senza ascensore. Fu ancora più difficile. Fu molto difficile. Più volte pensai di non farcela e che quello che stavo facendo dimostrava solo la mia alienazione. Quelle scale erano tutto ciò che avevo. Pensai anche di recarmi da uno psicologo. Eppure…eppure ci riuscii. Il 1° settembre tutti raccontavano delle ferie, di posti meravigliosi. Io non ero stato in nessun posto, ma avevo riscoperto qualcosa di meraviglioso: avevo riscoperto me stesso.
Fu solo l’inizio…Non mi fermai più.
La cosa più bella però non fu scoprire che “potevo farcela” ad uscire da un abisso. No, fu la consapevolezza che quel relitto di tanti anni prima, non aveva mai perso la sua umanità. Non fu mai un “relitto umano”, nemmeno per un istante”.
Bellissimo racconto , da quale libro è estratto?
“Il racconto è stato scritto da uno dei collaboratori de Il Dieci. È inedito, non è estratto da nessun libro. Grazie per l’apprezzamento”.