­1820-2020: 200 ANNI DALLA NASCITA DI  VITTORIO EMANUELE II

L’ULTIMO RE DEL PIEMONTE E IL PRIMO RE D’ITALIA

Un conservatore che seppe assecondare l’evoluzione liberale verso l’Unità d’Italia

di Emilio Galli

Vittorio Emanuele nacque  il 14 marzo 1820 a Torino da Carlo Alberto, che divenne Re di Sardegna (così era denominato il Regno dei Savoia, con capitale a Torino in Piemonte) nel 1831. Le differenze fisiche e di carattere di Vittorio con il padre fecero nascere la leggenda che fosse figlio di un popolano in sostituzione del primogenito morto in un incendio. Fu educato in un ambiente rigido, militaresco e conservatore. Vittorio non amava gli studi, in cui aveva scarsi risultati, preferiva la vita attiva, la caccia, i cavalli, le escursioni in montagna, non era molto raffinato anche nei suoi gesti e nei rapporti personali. Nel 1842 sposò Maria Adelaide d’Asburgo verso la quale dimostrò affetto, ma ebbe varie relazioni sentimentali. Nel 1847 conobbe la popolana Rosa Vercellana, la “bela Rusin”, figlia del tamburo maggiore del regio esercito, fu sua compagna per tutta la vita, la sposò morganaticamente nel 1869. Il padre Carlo Alberto, dopo la sconfitta nella I guerra d’indipendenza, il 23 marzo abdicò e Vittorio Emanuele divenne Re in un momento molto difficile: l’esercito sconfitto, l’occupazione territoriale degli austriaci, la sfiducia dei patrioti. Il 24 marzo incontrò a Vignale il generale Radetzky per trattare la pace. Si tramanda che seppe resistere alle pressioni del vecchio generale mantenendo la Costituzione emanata dal padre, lo Statuto Albertino, che fu la Costituzione italiana fino alla II guerra mondiale. Per questo ebbe l’appellativo di “Re Galantuomo”, ma dai documenti storici sembra che furono proprio gli austriaci a consigliarlo di mantenere la Costituzione, era la condizione perché il giovane Re potesse stabilizzare la situazione politica. Vittorio Emanuele, comunque sia, dimostrò coraggio e realismo in una situazione difficile portando a buon fine le trattative. Il parlamento piemontese però non voleva ratificare la pace, allora il Re sciolse il Parlamento e con il Proclama di Moncalieri chiese agli elettori di scegliere persone meno radicali, ed in effetti il nuovo Parlamento più moderato ratificò il trattato. Pur essendo un conservatore, nel primo decennio del suo Regno ebbe il buon senso di nominare come Primi Ministri due politici di carattere, prima D’Azeglio poi Cavour, con il quale non ebbe facili rapporti. Vittorio Emanuele era religioso, ma anche se con forti perplessità firmò nel 1850 le leggi Siccardi con le quali si regolavano i rapporti tra Stato e Chiesa eliminando vecchi privilegi, tra cui la censura ecclesiastica sulle pubblicazioni. Nel 1854 fu presentata la legge Rattazzi che limitava le Congregazioni religiose e favoriva il matrimonio civile, ci furono forti pressioni ecclesiastiche perché il Re non firmasse, ricordando antiche maledizioni sui Savoia. Ma nonostante recenti lutti personali (a Vittorio in pochi mesi morirono la madre, la moglie, un figlio neonato e il fratello), quando il Senato la approvò, il Re accettò di promulgarla dicendo a D’Azeglio: “Sono re, e questo è il mio dovere”. Nel 1854 Cavour propose una legge per la soppressione degli ordini religiosi contemplativi (in sintonia con quanto già fatto in altri paesi europei), la Destra cattolica si oppose, guidata dal vescovo di Casale Nazari di Calebiana. Il Re era contrario, ma alla fine dovette approvare la legge, scrisse alcune lettere al Papa Pio IX per convincerlo ad abbandonare la sua dura intransigenza, pur ribadendo la propria fedeltà al papa e alla Chiesa. Quando Cavour allacciò l’alleanza con la Francia di Napoleone III per preparare la guerra contro l’Austria, Vittorio accettò che sua figlia Clotilde sposasse Gerolamo Napoleone, cugino dell’imperatore francese. Durante la II guerra d’indipendenza si comportò egregiamente, pur con dissidi con il generale Alfonso La Marmora che non apprezzava la volontà del Re di avere il comando effettivo della campagna militare. Entrò con Napoleone III in Milano liberata, partecipò alla sanguinosa battaglia di Solferino, ma dovette accettare l’armistizio voluto dall’imperatore francese. Durante la spedizione dei Mille appoggiò Garibaldi nonostante la contrarietà di Cavour. Al comando dell’esercito nel 1860 invase l’Umbria e le Marche, a Teano incontrò Garibaldi, il 14 marzo 1861 venne proclamato Re d’Italia, il 26 marzo il papa Pio IX emanò la scomunica contro il Re e tutti coloro che avevano contribuito alla “nefanda ribellione” nel territorio dello Stato Pontificio. Nel 1870 con una lettera personale a Pio IX cercò di risolvere pacificamente il problema di Roma, di fronte al diniego del Papa il governo il 20 settembre inviò i bersaglieri a occupare Roma che divenne la capitale d’Italia. Nonostante le sue simpatie per la Destra, quando nel 1876 la Sinistra vinse le elezioni, nominò Primo ministro Agostino Depretis. Vittorio Emanuele II morì il 9 gennaio 1878, fu un Re che indubbiamente seppe accompagnare l’Italia nel suo processo di unificazione nazionale. I funerali solenni si tennero il 17  gennaio al Pantheon di Roma con una folla immensa, la cerimonia viene raccontata epicamente da Edmomdo De Amcis nel libro Cuore: “…  In questo momento l’Italia dava l’ultimo addio al suo re morto, al suo vecchio re, che l’aveva tanto amata, l’ultimo addio al suo soldato, al padre suo…il feretro, portato dai corazzieri, passò, e allora si chinarono tutte insieme, in atto di saluto, le bandiere dei nuovi reggimenti, le vecchie bandiere lacere di Goito, di Pastrengo, di Santa Lucia, di Novara, di Crimea, di Palestro, di San Martino,di Castelfidardo, ottanta veli neri caddero, cento medaglie urtarono contro la cassa, e quello strepito sonoro e confuso, che rimescolò il sangue di tutti, fu come il suono di mille voci umane che dicessero tutte insieme:- Addio, buon re, prode re, leale re! Tu vivrai nel cuore del tuo popolo finchè splenderà il sole sopra l’Italia- Dopo di che le bandiere si rialzarono alteramente verso il cielo, e re Vittorio entrò nella gloria immortale della tomba”.

 

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