L’elezione del Presidente della Repubblica rappresenta un passaggio delicato nella storia del paese di cui storicamente l’opinione pubblica tende a sottovalutare l’impatto politico e istituzionale. In molti cittadini permane, tuttora, l’idea che il Capo dello Stato sia quella figura austera a cui ci avevano abituato talune figure del passato che si limitavano a ratificare decisioni prese altrove. Infatti, in qualità di “rappresentante dell’unità nazionale”, come vuole l’art. 87 della Costituzione, per lungo tempo il Capo dello Stato si è limitato ad esercitare una funzione di equilibrio all’interno dell’agone politico sterilizzandone le abituali fibrillazioni (la c.d. moral suasion). Custode e garante della Costituzione, il Presidente della Repubblica ha sempre svolto un prezioso ruolo di mediazione tra gli organi dello Stato preservandone la stabilità. In quest’ottica, il dettato costituzionale tende a disegnare il profilo di un potere strutturalmente neutro che non si identifica in alcuno dei tre poteri statuali (legislativo, esecutivo, giudiziario) ma che, tuttavia, vanta una serie di prerogative riconducibili a tali sfere. Fino al 1978 tutti gli inquilini del Quirinale hanno inteso interpretare in modo restrittivo i poteri previsti dalla Carta costituzionale. Luigi Einaudi, Giovanni Gronchi, Antonio Segni, Giuseppe Saragat, Giovanni Leone, rappresentano gli interpreti di un ruolo presidenziale esercitato in modo accorto e misurato, in linea con un temperamento personale che si attagliava perfettamente a quella concezione notarile imposta dalla prassi politica dell’epoca. L’elezione di Sandro Pertini, avvenuta il 9 luglio 1978 (cioè, due mesi dopo l’uccisione di Aldo Moro), rappresentò una svolta nel modo di interpretare quella carica. Malgrado il clima politico incandescente di quegli anni, Pertini divenne ben presto il “Presidente di tutti gli italiani” per la spontaneità delle esternazioni e per il modo, del tutto inedito, di porsi al cittadino. La popolarità di Sandro Pertini finì per ridare lustro ad una funzione che fino a quel momento era apparsa agli italiani come un prosaico taglia-nastri, un orpello, un simbolo decorativo sostanzialmente irrilevante e incapace di incidere nella dialettica politica. Bisogna riconoscere che, da quel momento in poi, il ruolo di Capo dello Stato non fu più lo stesso. Francesco Cossiga, Oscar Luigi Scalfaro, Carlo Azeglio Ciampi, Giorgio Napolitano, Sergio Mattarella: sia pure con modi e accenti diversi, questi Presidenti hanno esercitato un ruolo “interventista” che ha inciso profondamente, anche se non sempre in modo visibile, sia nel dibattito pubblico che nel rapporto tra le forze politiche. La formazione dei governi, la scelta dei ministri, la politica estera, il rapporto tra Governo e Parlamento, il ricorso alla decretazione d’urgenza, il ruolo degli organi di garanzia, il difficile equilibrio tra politica e potere giurisdizionale: sono solo alcuni esempi dei temi che hanno visto attribuire al Presidente della Repubblica un potere crescente di intervento che impone, oggi più che mai, la scelta di un soggetto dotato di equilibrio, di specchiata moralità e di grande prestigio internazionale. In quest’ottica, ha ragione chi, come il prof. Zagrebelsky, ha sostenuto l’opportunità che il prossimo Capo dello Stato non sia frutto di trattative segrete tra partiti o di scelte partorite dal Palazzo di cui il cittadino non è in grado di cogliere gli accordi sottostanti. Rispetto al passato, infatti, oggi il cittadino avverte la necessità che il nuovo Presidente sia pienamente rappresentativo della nazione e, conseguentemente, che la scelta del Parlamento ricada su un personaggio di alto profilo istituzionale di cui, allo stato, non vi è traccia nell’universo della politica. Il momento storico impone, altresì, che, per beneficiare dei denari del “Recovery” e rassicurare i nostri partner europei, ci sia bisogno di un Presidente in grado di blindare la nostra collocazione nell’Ue e di allontanare il “periglioso canto” delle sirene sovraniste. Per questa ragione risulta di vitale importanza che il nuovo inquilino del Quirinale sia Mario Draghi il quale dovrebbe aver già capito che, chi lo invita a restare al governo oggi, punta, in realtà, a farlo fuori domani. Come recita un vecchio adagio, dagli amici mi guardi Iddio, che dai nemici mi guardo io.