Il tema dell’autonomia differenziata rappresenta uno dei banchi di prova più complicati che il governo Meloni sarà presto chiamato ad affrontare.

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Per Matteo Salvini si tratta di un tema di vitale importanza per scongiurare il declino di un partito che, da qualche mese, continua ad assistere alla lenta transumanza dei suoi elettori verso Fratelli d’Italia. In verità, in modo del tutto inaspettato, l’elettorato leghista sembra gradire la prospettiva del centralismo in cambio di un presidenzialismo in grado di scardinare per altre vie l’impalcatura di uno Stato ritenuto inefficiente e sprecone.

“il presidenzialismo come prosecuzione del federalismo con altri mezzi”.

Benché possa apparire contraddittorio, quel bacino elettorale del Nord, un tempo legato al mito della “Padania”, oggi vede in Giorgia Meloni l’opportunità di una svolta istituzionale che la Lega di Salvini non è più in grado di garantire: con una battuta, potremmo dire “il presidenzialismo come prosecuzione del federalismo con altri mezzi”.

Bisognerebbe, tuttavia, stare attenti ad assecondare certi “pruriti” perché, quando si mette mani nella Carta fondamentale dello Stato, non si può prescindere dai principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico il primo dei quali, non andrebbe mai dimenticato, resta quello solidaristico.

Come è noto, la bozza del Ministro per gli Affari regionali, Roberto Calderoli, disegna i passaggi che conducono al riconoscimento dell’autonomia differenziata. La nostra Costituzione prevede questa ipotesi nell’art. 116, terzo comma, secondo il quale si possono attribuire alle Regioni a statuto ordinario “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”: tutto ciò, con semplice legge ordinaria e, quindi, senza procedimento di revisione costituzionale.

L’articolo 116 traccia, tuttavia, il perimetro entro cui è possibile prevedere questa peculiare tipologia di autonomia che può ricomprendere tutte le 20 materie attribuite alla “competenza legislativa concorrente” tra Stato e Regioni, nonché alcune materie di “competenza esclusiva” dello Stato: l’organizzazione della giustizia di pace, l’istruzione, la tutela dell’ambiente e dei beni culturali.

Si tratta, complessivamente, di 23 materie che, messe insieme, finiscono per comporre un coacervo di competenze che rischia di mettere a repentaglio l’impianto della nostra Costituzione che, in tema di rapporti tra governo centrale ed enti locali, non perde di vista la necessità di coniugare differenziazione e uguaglianza.

In verità, risulta del tutto insensata l’equiparazione di materie “sensibili” come istruzione, salute e lavoro, che hanno oggetto diritti fondamentali del cittadino, con materie di natura squisitamente economica, come commercio estero, trasporto, casse di risparmio.

Occorre, altresì, rilevare che una mole così imponente di materie finirebbe per conferire alle Regioni a statuto ordinario un’autonomia ben più ampia di quella riconosciuta alle Regioni a statuto speciale per le quali, va ricordato, è stata necessaria una legge costituzionale.

Ma c’è altro. La bozza del ministro Calderoli nulla dice in ordine alla necessità di rispettare quell’obbligo perequativo previsto dall’art. 119 della Costituzione che rischia di restare lettera morta se non vengono disciplinate le modalità attuative con cui lo Stato deve, comunque, assicurare che “i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (art. 117, secondo comma).

Ad oggi, non è dato sapere in che modo il regionalismo differenziato sia in grado di garantire a tutti i cittadini quello standard minimo di prestazioni che rappresenta un principio irrinunciabile di tutti gli ordinamenti federali.

Pertanto, non può essere sottaciuto che la bozza Calderoli lascia del tutto irrisolti temi di fondamentale rilevanza sociale come fondo perequativo, standard minimo di prestazioni, uniformità di trattamento dei cittadini.

Questa omissione, unita alla circostanza che siano le regioni più ricche a spingere per l’autonomia differenziata, incoraggia la triste sensazione che siamo davanti ad un assetto istituzionale che denota una spiccata vocazione divisiva.

Sarebbe utile rammentare al ministro Calderoli che federalismo deriva da “foedus”, che significa patto. Bene, un patto unisce i contraenti, non li divide.

Va bene mettere mani nella Costituzione ma stiamo attenti a non spaccare un paese già fin troppo spaccato. (AD)

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