È così che inizia il nostro viaggio da Argegno, su in funicolare fino a Pigra scadendo in pochi minuti più di 600 m di dislivello assaporando una spettacolare vista sul lago e sui monti che lo circondano, fino a raggiungere, infine, il piccolo paese di montagna, considerato il più bel terrazzo nelle Prealpi comasche.
Nella foto d’apertura: il Belvedere di Pigra, Esteban Cartin
Arriviamo ad Argegno tramite la Regina e posteggiamo l’auto al parcheggio in Piazza Giovanni Grandi, vicino alla Chiesa della Santissima Trinità costruita, in riva al lago, nei primi decenni del XX secolo in stile eclettico neoromanico-neogotico. Sulla facciata si può ammirare il rosone, feritoie laterali, tre torrette e mosaici dei Quattro Evangelisti, Sant’Abbondio e Sant’Anna e all’interno una tela della Natività del ‘600.
Pochi passi e arriviamo alla stazione a valle della funivia Argegno-Pigra, una delle più ripide d’Italia. In 5 minuti giungiamo a Pigra tra case in sasso di Moltrasio e sentieri nella natura, che conducono verso il Monte Galbiga, l’Alpe di Colonno e il Monte Pasquella. Scendiamo dalla cabina e voltiamoci subito verso il lago: un belvedere mozzafiato ci attende, l’azzurro dell’acqua sul quale si riflette l’ombra del Monte San Primo, più in là scorgiamo le Grigne, il Pizzo dei Tre Signori e il Monte Legnone. Le acque lambiscono Bellagio, Varenna, Punta Balbianello e l’Isola Comacina.
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Zaino in spalla e scorta d’acqua ci addentriamo tra le vie acciottolate (le “risciade”) alla scoperta del borgo seguendo l’itinerario ben segnalato “Pigra da scoprire”, ci accompagnano antichi cortili, case addossate le une alle altre, stalle e fienili di paese, fontane, scalinate e portali: l’auto non arriva, c’è il solo suono dei passi e quei tipici rumori di paese, le voci dialettali all’angolo. Arriviamo al Panée da l’Alp, l’antico lavatoio che risale al 1886, sorgente del paese a cui non è mai mancata l’acqua, luogo di ritrovo delle lavandaie che con olio di gomito sfrizionavano, strizzavano, battevano i panni sulla dura pietra per poi stenderli al sole. L’immagine delle lenzuola bianche stese al sole, mosse dal vento risiede nell’immaginario rurale di ciascun lettore. Aggiungiamoci bambini di corsa con pantaloncini corti e la storia è subito fatta: famiglie matriarcali con a capo le “regiure” che vivevano in grandi cortili, fazzoletti sulle teste a raccogliere i capelli, momenti di fienagione. Uomini, emigrati per lavoro dai 15 anni in su: partivano per San Giuseppe e rientravano per Sant’Andrea, da marzo a novembre inviando a casa gruzzoli di lire.
Una breve deviazione ci porta al “Cason” della Società Operaia di Mutuo Soccorso di Pigra: Elio, il Presidente, ci accompagnerà alla scoperta di quel passato, che ha creato il nostro presente. Ci racconterà di grandi culle famigliari con materassi in foglie di gran turco, ci parlerà di registri fitti di calligrafie fini, di nominativi annotati con nomignoli e pseudonimi, di supporto reciproco, di raganelle suonate tra le vie del paese dai bambini nella settimana santa, della Latteria Sociale al primo piano con la “culdera dal lac” e il “tulin” in mano.
Riprendiamo la passeggiata e incontriamo l’Oratorio di San Rocco di origine rinascimentale nella piazzetta omonima su cui si trova la Fontana con la statua del Santo. Lungo la passeggiata si incontrano anche la piccola Cappella dell’Immacolata e la Chiesa di Santa Margherita con campanile a torre, della fine del ‘500 e all’interno alcune opere d’arte, decorazioni a stucco, tele seicentesche e settecentesche e un paliotto in scagliola (il marmo dei poveri) del XVIII secolo. La chiesa è dedicata alla patrona di Pigra, Santa Margherita, celebrata il 20 luglio con una processione in cui gli abitanti portano la statua della Santa per le vie del paese. Il borgo anticamente era dotato di una Torre di vedetta che si ergeva sul Belvedere, sui cui resti fu costruita un’imponente villa.
L’idea in più? A caccia di gatti dipinti coi bambini! Sulle case di Pigra scorgiamo gatti fotografati e dipinti sui muri. Il gatto è il simbolo del paese: infatti, come per tutta la Valle d’Intelvi a ogni villaggio corrispondeva un simbolo, spesso animalesco: gli asini di Dizzasco, gli allocchi di Brienno o le civette di Argegno basati sugli eccessi caratteriali degli abitanti.
Info ed eventi su Pigra: http://www.aapigra.it/aap/
E ora? Ora si sale!
Seguiamo le indicazioni per “Strada ai Monti/Alpe di Colonno”, passiamo la località “Su Frecia”, incrociamo la croce di cemento di “Crusia Piana” e proseguiamo fino a una biforcazione, circa due km dalla partenza, prendendo la salita verso la bocchetta di Pigra. Qui proseguiamo in cresta fino al Monte Pasquella per godere di una spaziosa vista su Bellagio, l’Isola Comacina, fino ad arrivare sulla bassa Valle con Pigra e Schignano. Scendiamo ora all’Alpe di Blessagno, dove troveremo ad attenderci Giacomo e Vittoria tra passeggiate con i lama, esperienze di lama agility e nuovi amici, come gli asini da accarezzare e spazzolare. Siamo ad un’altitudine di 1100 m slm in un anfiteatro naturale con un’ottima vista sui monti circostanti tra cui il Generoso e il Rosa. Ci fermiamo, ci rigeneriamo e ci gustiamo la natura e i prodotti tipici: vediamo allevare, raccogliere frutti e verdure per materie prime dall’alto valore biologico. I prodotti hanno delle storie: il connubio tra natura, cibo e uomo è tangibile, il tempo sembra sospeso e scandito dalle stagioni.
Scopri le esperienze all’Alpe di Blessagno: https://www.sharry.land/it/profilo/agriturismo-le-radici
I racconti si fanno strada tra un piatto e l’altro, tra un’esperienza e la successiva: alp, meriggi, ciuende, sòstre, nevère, termini di un passato che ci piace riscoprire e rivivere. Gli “alp” erano affittati dagli “alpée”, che tenevano il bestiame delle famiglie del paese a pensione a pagamento. Ogni paese aveva allora un alpe: Alpe Grande per San Fedele, Pian delle Alpi per Cerano. Venivano costruiti i meriggi con faggi in circolo per creare zone d’ombra per la mandria, ancora oggi visibile nelle alpi di Claino e di Ponna. E poi le “ciuende”: fronde di frassini ripiegati per separare le mucche al pascolo dai prati da falce e dai seminativi. Le sòstre antiche stalle aperte dove ripararsi durante i temporali estivi e dove fare il formaggio in estate ad opera dei “famell”, i pastori. E poi le nevère dove il latte veniva posato in recipienti di alluminio al fresco in attesa di essere spannato e di ricavarne il burro, da poi vendere in paese a suon di campanacci.
Lunghezza itinerario: 12 Km Dislivello: 450 m Difficoltà: E (scala CAI)
Se abbiamo bambini piccoli possiamo intraprendere un percorso più diretto che collega Pigra all’Alpe di Blessagno. Dal Belvedere raggiungiamo il campo sportivo di Pigra e imbocchiamo la mulattiera n° 8 “Circolare Pizzo Pasquella”, che ci condurrà dolcemente tra i boschi freschi ed ombreggiati fino all’Alpe di Blessagno.
Lunghezza itinerario: 8 Km Dislivello: 190 m Difficoltà: E (scala CAI)
Scendiamo poi a Blessagno tramite la mulattiera asfaltata, seguiamo il sentiero basso n° 6b procedendo per Piazza Vittorio Veneto e girando a sinistra sulla mulattiera per Pigra attraverso il Monte Gireglio. Dopo un primo tratto boschivo, prima di una casetta voltiamo a destra fino alla croce “Chemp da Munt” e poi verso Pigra rientrando sul sentiero 6a. Riprendiamo la funicolare per scendere ad Argegno, l’antica roccaforte difensiva della Valle.
Argegno è il borgo romanico per eccellenza, attraversato dal torrente Telo è diviso in due parti collegate dal vecchio Ponte in pietra a sesto acuto, un tempo parte della Via Regia, che accompagna le caratteristiche case a strapiombo sulle rive tra cui si trova un’antica bottega di un fabbro con un maglio del 1772. Ripercorriamo a piedi il Vicolo Mulini seguendo il tragitto della vecchia Roggia Molinara, un sistema di canalizzazione delle acque del Telo che dal ‘600 dava energia idraulica a una filanda e a quattro mulini dove si macinavano il grano, il granoturco e le castagne della Val d’Intelvi, di cui oggi rimangono il Mulino Spinelli, il Mulino Toppi del 1605 (oggi panificio) e l’androne in Via Garibaldi di un vecchio mulino dove stavano gli animali da soma in attesa di caricare il macinato. Anche qui i racconti la fanno da padroni, tra mugnai, filandere e fabbri, tra la forza dell’acqua e quella delle braccia, tra incudini, martelli e mani tra fili di seta e di cotone.
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