Esiste un filo invisibile che lega l’esito della guerra in Ucraina e il risultato delle elezioni presidenziali francesi: il destino dell’Europa.

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Inutile nasconderlo, un’eventuale vittoria di Marine Le Pen segnerebbe la fine dell’Unione europea. Il referendum promosso per sancire il primato del diritto francese su quello comunitario finirebbe, di fatto, per minare irrimediabilmente le basi dell’Unione benchè la Le Pen abbia dichiarato ufficialmente di aver rinunciato all’uscita della Francia dall’Ue.

In verità, quel referendum rende chiare e inequivocabili le ascendenze culturali del lepenismo, ne rivela nitidamente cosmogonia politica, visioni e orizzonti strategici.

Come ha dichiarato Jerome Fenoglio, direttore de “Le Monde”, Marine Le Pen tende a rappresentare il cuore pulsante di quella “reazione” presente nella società francese che storicamente non ha mai digerito la “rivoluzione”, la Dichiarazione dei diritti dell’uomo, la fratellanza universale, l’idea che tutti gli uomini nascano liberi e uguali.

Nel solco di questa tradizione culturale che affonda le radici nella Vandea, “gli stranieri sono visti come una sorta di virus che attacca e corrompe il corpo vivo della nazione”.

In questo senso, lepenismo e xenofobia risultano innegabilmente sinonimi e rappresentano la peggiore minaccia per una Europa che i padri fondatori avevano immaginato aperta, inclusiva e cosmopolita.

Ora si ponga mente ad una strana coincidenza della Storia. Non sappiamo se per casualità o altro, le elezioni francesi paiono intrecciarsi con la guerra in corso.

Infatti, dopo anni di attacchi concentrici contro l’Unione europea, quel grumo di lepenismo e putinismo che si identifica nel sovranismo, ha l’occasione di uscire allo scoperto per infliggere il colpo di grazia non solo alla costruzione comunitaria ma alla cultura occidentale “tout court”.

In questo senso, Marine Le Pen e Vladimir Putin sono gli artefici di uno scontro culturale con quella democrazia liberale i cui valori vedono l’Europa depositaria e custode: uno scontro di civiltà vero e proprio che l’Occidente non può più sottovalutare illudendosi che l’avversario si componga solo di mentecatti.

Le cronache hanno più volte dimostrato i forti legami esistenti da lungo tempo tra lo zar e la leader di Rassemblement National la quale avrebbe beneficiato perfino dei prestiti di una banca russa.

Non può ritenersi casuale, pertanto, la contrarietà di Marine Le Pen alle sanzioni inflitte alla Russia, così come la mancata condanna dell’invasione russa: risulta fin troppo evidente che Putin e Le Pen marciano divisi per colpire uniti.

Tante, troppe volte abbiamo finto di non vedere le trame che Vladimir Putin ha accuratamente tessuto con i partiti sovranisti con il preciso intento di destabilizzare gli equilibri di un’Europa già divisa a causa di quelle dissennate politiche di austerità che hanno finito per soffiare sul vento populista.

Ora dovrebbe essere chiaro a tutti che che ogni ipotesi di negoziato per porre termine al conflitto russo-ucraino resta solo una pia illusione.

Se vogliamo la pace, per lo zar l’unica strada percorribile resta quella della resa incondizionata di Zelensky. Chi si illudeva che fosse possibile sedersi al tavolo e trattare, finge di ignorare chi è veramente Putin. ll terrore della terza guerra mondiale costituisce una carta che lo zar è disposto a giocare fino in fondo.

Lo sterminio di Bucha e di Mariupol offre la cifra della sua spietatezza che risulta grottesco imputare alla mancata resa del governo Ucraino, come favoleggiano alcuni opinionisti di casa nostra: certe efferatezze recano, in modo inconfondibile, quel marchio sinistro del putinismo descritte da Anna Politovskaja che, non dimentichiamolo, pagò con la vita i racconti delle devastazioni e dei saccheggi compiuti dalle truppe russe in Cecenia.

Stiamo assistendo alla replica di un film già visto che, per quieto vivere, in Occidente abbiamo finto di non vedere.

Bucha e Mariupol riportano, infatti, alla memoria le sorti di Aleppo (Siria) e Grozny (Cecenia) che non si arresero e, per questa ragione, furono completamente rase al suolo.

Pertanto, piaccia o no, se vogliamo trattare con lo zar lo si potrà fare solo riequilibrando la partita in corso, cioè, aiutando l’esercito ucraino.

Tutti desideriamo la pace ma questo desiderio non deve tradursi in codardia e in pavidità al cospetto di un nemico che conosce bene le paure, le ossessioni e l’ignavia dell’Occidente.

Sia chiaro a tutti che salvare l’Ucraina significa salvare l’Europa. Per questo occorre stare dalla parte di Zelensky e di Macron. Senza se e senza ma.

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