Uscendo da scuola al termine di quello spensierato sabato di febbraio, nessuno studente avrebbe mai potuto immaginare che non ci avrebbe più messo piede.

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Il 22 febbraio 2020 resterà per i nostri ragazzi una data che solcherà per sempre la loro memoria. Quel giorno segna la data di inizio di una segregazione che nessuna generazione aveva mai conosciuto in precedenza.

Famiglie, docenti, ragazzi, si sono visti improvvisamente catapultare in una dimensione del tutto inedita e dai tratti surreali. Nella concitazione generale di una emergenza che ha cominciato a snocciolare, in modo sinistro, una contabilità crescente di morte, la scuola italiana si è vista costretta a reinventarsi pressoché integralmente nel disperato tentativo di non lasciarsi travolgere e delegittimare dalla furia di un nemico la cui spietatezza rischiava di relegarla in un limbo senza senso, in un spazio vuoto e avulso dalla realtà di un dramma collettivo sconvolgente ed inaspettato.

Come poi abbiamo visto, non è stato facile per la nostra società riuscire a misurarsi con questa emergenza che, ancora oggi, ci lascia sgomenti. Il Covid ha letteralmente stravolto i connotati di una comunità che, solo fino a qualche mese fa, si riteneva inattaccabile nelle sue libertà, nel suo stile di vita, nel suo intimo convincimento di essere una democrazia ricca e invulnerabile.

Il virus, la “bestia”, ha impetuosamente dissolto tutte le antiche certezze consegnandoci all’orrore di una improvvisa precarietà alla quale tutti, con legittimo sconcerto, siamo stati chiamati ad opporre una strenua resistenza.

Pian piano, stoicamente e orgogliosamente, il cittadino ha imparato ad accettare con mirabile compostezza le sempre più pressanti restrizioni alle sue libertà.

La scuola non è stata da meno. Pochi giorni dopo l’inizio del “lockdown”, insegnanti e alunni hanno cominciato a sperimentare una nuova metodologia che rappresentava una vera e propria rivoluzione che imponeva, in modo imprevedibile e dirompente, una radicale ridefinizione delle regole, delle procedure ma, soprattutto, della dialettica tra docenti e alunni.

È apparso subito chiaro che l’emergenza sanitaria avesse colto il sistema italiano completamente impreparato dal punto di vista dello svolgimento del lavoro a distanza. Il sistema scolastico non faceva eccezione. Come in altri altri campi, anche nella scuola lo “smart working” è partito in un assoluto vuoto normativo a cui dirigenti, insegnanti, alunni e famiglie hanno supplito con encomiabile abnegazione.

A due mesi dall’inizio di questa esperienza, oggi è possibile formulare, con qualche approssimazione, alcune valutazioni al fine di ottimizzare l’uso di uno strumento del tutto inedito che, stando alle previsioni, la scuola sarà costretta ad adottare anche in autunno in occasione dell’inizio del nuovo anno scolastico.

Preliminarmente, sarebbe opportuno riconoscere al sistema educativo quella precipua peculiarità che si fonda sulla necessità di garantire agli alunni un rapporto personale, immediato e diretto con gli insegnanti. Un percorso formativo mediato dalla presenza di uno strumento digitale è destinato a fare i conti con il prevedibile deficit motivazionale degli studenti ai quali sarebbe impensabile proporre il tradizionale modello didattico.

Di contro, la didattica a distanza potrebbe consentire di sperimentare un nuovo modo di “fare scuola” con una flessibilità del tutto sconosciuta in passato. Per la prima volta, ad esempio, nelle scuole superiori gli insegnanti potrebbero dare campo libero ai ragazzi nell’orario delle lezioni, nella scelta degli argomenti, nella distribuzione dei temi da trattare e approfondire. Solo con il totale coinvolgimento dei ragazzi sarà, pertanto, possibile scongiurarne le frequenti defezioni registrate in questi mesi, spesso giustificate da “problemi di connessione” del tutto pretestuosi.

Sono molteplici le incognite che la “didattica a distanza” pone agli attori dell’intero universo scolastico, specialmente per la scuola primaria. Per tali ragioni, sarà necessario che, anche in modo discontinuo, sia possibile programmare una verifica periodica “sul campo” per consentire ai docenti di mantenere la giusta sintonia con gli alunni. In questo momento, non bisogna abbandonarsi a quel “cupio dissolvi” che rischia di infliggere un colpo mortale al nostro sistema scolastico che, oggi più che mai, ha bisogno di tenere viva una proficua interazione tra tutte le sue componenti.

In questa fase, come altre categorie, anche i docenti italiani stanno dimostrando passione e amore per un lavoro che, occorre ammettere, non ha sempre goduto dei favori della società. Non dimentichiamolo, l’istruzione e il sapere restano le basi di una società: anche in questa emergenza, è bene tenerlo a mente.

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