Margarita Simonyan, direttrice di RT, ex Russia Today, è una delle donne più potenti della Russia.

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In una recente intervista rilasciata alla rete televisiva Rossiya-1, la Simonyan ha dichiarato che “nessuna grande nazione può esistere senza il controllo dell’informazione”. L’esempio della Cina risulterebbe paradigmatico: si può avere un’economia florida senza un sistema politico libero.

La stessa Russia avrebbe sperimentato questa verità durante gli anni di Gorbaciov il quale, liberalizzando la vita politica del paese, ne avrebbe determinato il crollo economico e finanziario. Secondo Margarita Simonyan esisterebbe, pertanto, una incompatibilità strutturale tra democrazia economica e democrazia politica che l’Occidente si rifiuterebbe di riconoscere nell’illusione che libertà e benessere possano procedere di pari passo.

Questo pensiero risulta perfettamente conforme alle tesi espresse, in più occasioni, da Vladimir Putin sul declino della democrazia liberale. Si tratta di un tema che l’opinione pubblica occidentale tende a sottovalutare ma dal quale sarebbe utile partire per capire la vera natura del putinismo il cui riferimento ideologico, va ricordato, resta quel Dugin di cui risulta opportuno focalizzare le inquietanti teorie ultra-nazionaliste e para-naziste.

Risulta utile rammentare, innanzitutto, che Aleksandr Dugin è il teorico dell’unificazione di tutti i popoli di lingua russa che il destino chiamerà a raccogliersi sotto un unico impero eurasiatico. Nel libro “Fondamenti di Geopolitica”, pubblicato nel 1997, Dugin esalta le teorie di Carl Schmitt, ideologo del Terzo Reich, e si cimenta nell’elaborazione di una sorta di sincretismo ideologico che, in modo temerario, cerca di conciliare il pensiero di Stalin, di Hitler, di Evola e di Mussolini.

In quest’ottica, Dugin non esita a vagheggiare il progetto di una Unione Eurasiatica che, spazzando via la sovranità degli Stati minori, dovrebbe fieramente contrapporsi all’Unione europea e agli Stati Uniti.

Le idee di Dugin rivelano un profondo rancore verso il mondo occidentale e nei confronti della cultura liberale. Dalle sue riflessioni emerge quello spirito revanscista che risulta ben radicato in una parte consistente della popolazione russa che ha vissuto il tramonto dell’impero sovietico come un’ingiustizia della Storia che merita di essere riparata.

Questo è il contesto all’interno del quale deve essere collocata l’invasione dell’Ucraina che gode tuttora del largo favore dell’opinione pubblica russa. Il consenso di cui continua a godere Vladimir Putin rappresenta un fattore che, seguendo i canoni della cultura occidentale, potrebbe condurre all’accettazione di un regime di cui risultano ben noti i metodi repressivi. Le argomentazioni con le quali l’Occidente tende a prendere le difese di Zelensky, posto a capo di un governo liberamente eletto dal popolo, potrebbero condurre al paradosso di legittimare l’operato di Putin in virtù del consenso popolare di cui lo zar continua tuttora a godere.

Il tema del “consenso”, pertanto, risulta alquanto scivoloso perchè finirebbe per offrire ai putiniani un espediente giustificazionista di portata dirimente. Occorre, pertanto, fare chiarezza sulle reali “colpe” di Putin il quale, con l’invasione dell’Ucraina, rischia di inaugurare una nuova epoca fatta di tensioni, di scontri, di guerre guerreggiate, di guerre tra i giganti del pianeta combattute non già a viso aperto ma dirottate nelle periferie, vicine e lontane.

Ci troviamo, pertanto, nel pieno di una tempesta da cui non sarà facile uscire nell’immediato. La sensazione è che, dietro questo conflitto, si celino obiettivi non dichiarati che, col passare del tempo, sarà possibile scorgere sempre più nitidamente.

Nessuno può escludere che Russia, Cina e India abbiano deciso di sferrare un attacco agli USA per scardinare la storica egemonia del dollaro.

L’Europa, nel frattempo, continua ad essere un’entità eterea e impalpabile che dovrebbe iniziare a capire l’importanza del proprio ruolo all’interno del nuovo ordine che il mondo dovrà darsi. Sarà importante, tuttavia, partire da una verità: l’Occidente crede che la felicità dei popoli si fondi contestualmente, e in modo irrinunciabile, sulla libertà e sul benessere; in altre parti del mondo, di contro, si ritiene che, per ottenere il benessere, sia inevitabile rinunciare alla libertà.

Questa è la vera domanda a cui nessuno potrà sottrarsi e che sarà utile porre a chiunque ostenti disprezzo per la democrazia. Come diceva Bobbio, la peggiore delle democrazie è sempre da preferire alla migliore delle dittature.

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