Dopo un inizio in sordina dovuto al clima vacanziero, la campagna elettorale sta entrando nel vivo di uno scontro che, con il passare dei giorni, assume toni sempre più virulenti.

Chi credeva che la parentesi del governo tecnico avrebbe aiutato a svelenire le vecchie contrapposizioni, è servito. In verità, il governo Draghi conteneva già “in nuce” tutti gli elementi di attrito poi deflagrati sotto lo sguardo incredulo e piccato del premier che non ci ha pensato due volte ad accomiatarsi con il suo abituale, garbato sussiego. Occorre ammettere che tutte le alleanze elettorali sono state concepite con l’obiettivo inconfessabile di sottrarsi al rischio di una sconfitta che avrebbe pregiudicato molte carriere parlamentari, anche di lungo corso.

Non esiste, infatti, coalizione che vanti una identità chiara e precisa o che non sia afflitta da personalismi e divisioni interne. Vediamo in concreto.

Tutti i sondaggi preconizzano una grande vittoria di Giorgia Meloni che dovrebbe condurla a Palazzo Chigi. La cosa appare scontata ma, forse, su questa ipotesi sarebbe opportuno fare una riflessione.

Per la prima volta dopo Tangentopoli e il crollo della c.d. Prima Repubblica, il centro-destra si presenta alle urne senza la leadership di Berlusconi che, non andrebbe mai dimenticato, al suo esordio fu il sapiente artefice di un’alleanza strategica tra due forze strutturalmente antagoniste come Alleanza Nazionale e Lega Nord. Il capolavoro politico di Silvio Berlusconi è stato di aver saputo addomesticare le contraddizioni della destra italiana senza, tuttavia, riuscire mai a scioglierle definitivamente dato che, ancora oggi, coesistono una destra localista (Lega), una destra nazionalista (Fratelli di Italia) e una destra europeista (Forza Italia).

Si tratta, decisamente, di un “unicum” che esiste solo in Italia di cui presto verificheremo la reale capacità di tradursi in una efficace azione di governo malgrado le antinomie identitarie appena citate alle quali occorre aggiungere, altresì, i differenti riferimenti internazionali e la profonda diversità di concepire il rapporto tra Stato e società, tra cittadino e istituzioni.

La vittoria del centro-destra appare, tuttavia, un risultato scontato anche perché la politica italiana ha generato una sorta di inerzia che porta gli elettori a votare “per esclusione”. Non dimentichiamo che, per Fratelli d’Italia, il governo Draghi ha rappresentato una opportunità che sarebbe stato improvvido sprecare.

La “Grosse Koalition” imposta dalla necessità di vedere in Mario Draghi il garante per accedere ai fondi del Recovery, ha finito per regalare a Giorgia Meloni la ghiotta occasione per convogliare su Fratelli d’Italia tutte le forme di malcontento, già preesistenti, poi esacerbate dal Covid e dalla guerra.

Su questa rendita di posizione Giorgia Meloni ha saputo costruire la sua immagine di potenziale “primo premier donna” della storia benché sia perfettamente consapevole che occorrerà, comunque, fare i conti con il Cavaliere che continua generosamente a tirarle la volata con il supporto mediatico delle sue tv.

Se la destra veleggia spedita con questa calma apparente, sul versante opposto domina il caos più assoluto.

Il Pd di Enrico Letta viene percepito da una larga parte dell’elettorato come un partito vecchio e imbolsito da anni di “governismo” che lo hanno condotto ad essere più vicino all’establishment che non al cittadino. Il Partito democratico non ha mai dato la sensazione di saper ascoltare le aree del disagio alle quali ha, sovente, anteposto la frequentazione di salotti, circoli e associazioni dal nome prestigioso e altisonante.

Perdere consensi a Mirafiori e nel pubblico impiego, ad esempio, la dice lunga su un partito che, afflitto da una sorta di ansia di legittimazione nei santuari del potere, ha finito per perdere di vista la rabbia che, da lungo tempo, serpeggia nel suo elettorato tradizionale.

Se vogliamo, si tratta di una beffa perfino paradossale: in un momento caratterizzato da sperequazioni e ingiustizie sociali di dimensioni planetarie, la sinistra italiana è clamorosamente mancata all’appuntamento con la Storia.

Detto questo, nell’immediato Enrico Letta si trova a dover sciogliere il dubbio amletico se guardare ai 5 Stelle o a quella “strana coppia” (Calenda e Renzi) destinata a separarsi appena approdata in Parlamento: imbarazzo comprensibile dato che non è mai piacevole dover scegliere la corda a cui impiccarsi. Pertanto, dato che per la sinistra sarà pressoché impossibile vincere le elezioni, a Letta converrà fare proprio un vecchio adagio di Mao Zedong: “grande è la confusione sotto il cielo, quindi la situazione è eccellente!”.

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