Prefazione di Andrea Vitali
I ricordi, di luoghi, persone o momenti vissuti con intensità, sono così. Paiono perduti per sempre e invece a un certo momento spuntano per essere fissati sulla carta. Di primo acchito sembrano vettori di sola nostalgia per il tempo e le persone andate, punture nella carne viva, come se volessero farci soffrire. E’ anche vero però che spesso ci strappano un sorriso. Come, mi viene in mente, fossero piccoli, minuscoli monelli chiusi nei cassettini della memoria che a un dato momento scappano alla custodia e sbottano, cucù ! Una volta liberi nessuno è più in grado di riportarli al chiuso fino a che il legittimo possessore non dia loro la dignità dell’essere stati parte fondante di un’esperienza di vita. Fissandoli su carta per esempio oppure facendoli diventare parola da ascoltare. Nell’un caso come nell’altro parentesi di vita da condividere o nelle quali riconoscersi, come potrebbe capitare.
Andrea Vitali
SEDIA A DONDOLO (Alberto Bosis)
Quando mia nonna materna morì avevo sei anni: era il 1970.
Lei aveva 70 anni, ma non era come un settantenne di oggi. Non giocava a tennis, non usciva per il weekend, non andava al cinema o a teatro.
La ricordo come una persona molto anziana, sempre vestita di nero, come tradizione per le donne vedove, i capelli bianchissimi. Tra l’altro quel colore nero contrastava con le tendenze di quegli anni, nei quali tutti si vestivano con abiti sgargianti, colorati. Poi era anche un po’ malata. Mi diceva sempre la stessa cosa, quando mi vedeva e me lo diceva nel suo dialetto brianzolo che per me era ancora incomprensibile: “Te vori ben!” [“Ti voglio bene”].
Ogni volta voleva abbracciarmi, ma io avevo una sorta di ritrosia e solo raramente le concedevo di farlo. Ero piccolo, ma quella donna mi appariva, probabilmente, lontana dalla vita, dai colori, da ciò che ama un bambino. Ricordo anche il silenzio della sua casa, la vecchia stufa a legna sempre accesa, i vecchi mobili. L’unico rumore era quello della sua sedia a dondolo dalla quale non si separava mai.
Ricordo quando morì. Ricordo che non piansi al funerale.
Dopo qualche giorno io e mia madre tornammo a casa sua, per sistemare alcune cose. Quando entrammo sentii subito il freddo. La stufa era spenta. Poi vidi la sua sedia a dondolo. Fu in quel momento, senza accorgermi che mia madre era in un’altra stanza, che mi gettai ad abbracciare quella sedia, piangendo in modo disperato. Non so quanto rimasi così. Dondolavo la sedia con le mie manine e intanto piangevo. Lo feci fino a quando sentii una mano sui miei capelli. Era mia madre.
Mi disse solo: “Andiamo, vieni, Alberto”.
Mi tenne stretto, senza dirmi nient’altro. Da quel giorno il timore di esprimere i miei sentimenti è scomparso e ancora oggi, che ho cinquant’anni, ogni volta che dico a qualcuno “Ti voglio bene”, è un po’ come se lo dicessi a lei, alla nonna che non me l’ha mai sentito dire.
SEDIA A DONDOLO (Alberto Bosis, adattamento in romano a cura di Paolo Bisetti)
Era er ’70 quanno che è morta la madre de mi madre.
C’aveva settantanni, mentre io sei e n’era come oggi. Nonna nun giocava a tennis, er sabbato e a domenica se ne stava casetta, gnente cinema o teatro. M’a aricordo vecchierella, sempre vestita de nero, come s’addice a na vedova, i capelli bianchissimi. Erano l’anni de li vestiti colorati a fiori e tutto quer nero era un cazzotto a n’occhio. Mettece pure che nun stava un granchè bene. In dialetto brianzolo che ancora nun capivo perfettamente me ripeteva sempre “TE VORI BEN”, ti voglio bene, e ogni vorta me se voleva abbraccia, ma a me nun me piaceva e poche vorte me concedevo a sto rituale. Ero ancora piccolo ma quella donna me pareva lontana dai colori e da tutto quello che attirava un rgazzino come me. A casa sua solo vecchi mobbili, la stufa a legna sempre accesa, tutto era sovrastato solo dar rumore della sedia a dondolo. Me ricordo quanno mori, ar funerale manco piansi. Dopo un pò de giorni tornai co mamma a casa sua, pe sistema un pò de cose. La stufa spenta aveva lasciato solo freddo, spenta, li vicino alla sedia a dondolo, oramai silenziosa. Solo allora co mi madre all’artra stanza, l’occhi che se riempivano de lacrime, me lanciai a abbraccia quella sedia vota, sino a quanno mamma, stropicciandome i capelli, me se abraccio e me porto via senza di artro. Da allora nun sento piu paura a esterna i sentimenti e mo a piu de cinquantanni posso di te voijo bene, e pe ognuno a cui o dico e come se lo dicessi a nonna che da me nun l’ha mai sentito.
Ascolta la narrazione recitata da Paolo Bisetti https://www.youtube.com/watch?v=ml1YpSqqLsE&feature=youtu.be
Il racconto che avete appena letto fa parte di un volume di prossima pubblicazione (primavera 2020) ad opera di Paolo Bisetti e Alberto Bosis con illustrazioni di Patrizia Crespi e la prefazine di Andrea Vitali. Si tratta di una raccolta di brevi racconti con testo in italiano e romano. Le vicende narrate sono tutte reali. L’opera si completa con allegati file audio con lettura in romano (la voce narrante è dello stesso Bisetti) e sottofondo musicale del Maestro Christian Leotta, considerato dalla critica specialistica uno dei migliori pianisti classici al mondo. Il Maestro, che ha partecipato a titolo gratuito al progetto, esegue opere di Schubert e Beethoven. Il libro sarà patrocinato da Città Metropolitana Roma Capitale, dall’Assessorato alla Crescita Culturale di Roma Capitale, dal Ministero per i beni e le attività culturali e del turismo, da Genitin Onlus Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma, alla quale è devoluto il ricavato dell’opera.