Nessuno avrebbe immaginato che un virus proveniente da un lontano villaggio cinese avrebbe prodotto una simile ecatombe planetaria. Un’emergenza sanitaria mai vista in precedenza ha messo in crisi metà della popolazione mondiale facendo registrare finora 51 milioni di contagiati e oltre un milione di decessi.

Questo è il Covid, nemico invisibile e ubiquo che sta infliggendo all’intero Occidente una lezione che finirà per avere pesanti implicazioni nella vita sociale di ogni nazione. Noi non saremo risparmiati da questo terribile processo malgrado sia in corso nel paese una partita che aiuta a comprendere la singolare irrazionalità del cittadino il quale stenta tuttora a capire la drammaticità del momento. In un paese eternamente diviso tra Guelfi e Ghibellini, gli schieramenti risultano, ormai, chiari a tutti. Da una parte ci sono il governo, il comitato tecnico scientifico e l’universo dei medici ospedalieri e di base; dall’altra, ci sono l’opposizione, i governatori delle Regioni, gli imprenditori e una falange di scienziati “negazionisti” (su tutti, Palù, Zangrillo e Bassetti).

Lo stato confusionale del paese rappresenta il risultato di questa disputa che tende a far “evaporare” quel principio di realtà che sarebbe utile riscoprire per evitare che il prossimo inverno possa rivelarsi ancor più drammatico ed esiziale del precedente. I dati parlano chiaro. Molte strutture ospedaliere si stanno avvicinando al collasso malgrado siamo ancora in autunno. È noto che la diffusione del virus avrà un andamento incrementale man mano che ci avvieremo verso la stagione invernale. Già solo questo dovrebbe indurci a capire che, in attesa del vaccino, nessuno dovrebbe sottovalutare l’impatto del Covid con l’intera impalcatura sociale del paese la cui tenuta dipende da una serie di fattori che la politica farebbe bene a non ignorare.

Come in tutto l’Occidente, anche in Italia il Covid ha decretato il fallimento dello Stato nella gestione di una emergenza nella quale sono affiorati ritardi e arretratezze che hanno del clamoroso: mancanza di mascherine, di camici, di personale sanitario attrezzato e addestrato, di strutture ospedaliere in grado di sottrarre i medici all’obbligo di dover selezionare  i pazienti da salvare (nulla di più ignobile per un paese che ambisca a definirsi una democrazia).

Le cronache di questi mesi hanno evidenziato i limiti strutturali di un paese che ha nascosto per anni il proprio declino che oggi tutti siamo in grado di constatare. La politica dovrebbe avere l’umiltà di ammettere le proprie inadempienze davanti alle quali, ogni giorno, ognuno di noi si scopre impotente. Tutti i governi di questi anni sono stati incapaci di programmare quel minimo grado di modernizzazione del paese che sarebbe servito per affrontare l’emergenza sanitaria senza l’isteria collettiva di questi mesi. I continui litigi della politica recano il segno di una assoluta mancanza di autocritica che non aiuta a ben sperare sul futuro del paese. La nostra classe politica rispecchia la mediocrità di una classe dirigente che in questi anni non ha mai esitato ad anteporre il proprio “particulare” all’interesse generale. Il problema è tutto qui.

La verità è che al nostro paese manca una borghesia in grado di farsi interprete delle esigenze collettive e dei bisogni del cittadino. Il mondo delle imprese e delle professioni è sempre stato la stampella di una politica di cui oggi tutti siamo in grado di verificare la sconsolante pochezza. La sempiterna divisione del paese in Guelfi e Ghibellini nasce, in fondo, dalla mancanza di una borghesia aperta, coraggiosa e culturalmente incline alla sfida con il mondo che cambia. La nostra borghesia, di contro, continua ad essere “piccina piccina”, piena di paure e di ostilità per tutto ciò che rappresenta un’insidia alle sue antiche, tetragone, immarcescibili certezze. Questo è il vero “problema italiano” che tutti fingono di non vedere, un problema identitario con cui, piaccia o no, saremo chiamati a fare i conti. Nella sciagura, pertanto, il Covid può diventare l’occasione propizia per una riflessione collettiva che può giovare al paese. 

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