La conferma di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica ha rivelato la vera natura delle frizioni che, in modo speculare e del tutto inaspettato, sono deflagrate all’interno della destra e della sinistra. Risulta ormai chiaro che il vero “casus belli”, da cui si originano le fratture di questi giorni, è costituito dal ruolo soverchiante del premier che ha concentrato su di sé quei poteri decisori che, secondo alcuni costituzionalisti, condurrebbero ad uno stravolgimento del nostro sistema parlamentare. In questo senso, l’elezione di Mattarella rappresenta l’inevitabile compromesso tra chi voleva Mario Draghi al Quirinale e chi, di contro, ne era terrorizzato. Si è trattato del solito pateracchio all’italiana, fatto di calcoli, di opportunismo e di imposture, piccole e grandi, che hanno dimostrato la pochezza di una classe politica in corso di decomposizione. Risulta evidente che, a un anno di distanza dalle prossime elezioni, una parte del Parlamento comincia ad avvertire l’ansia del “ritorno a casa”. In verità, la drastica riduzione dei seggi parlamentari costituisce un elemento del tutto inedito destinato ad incidere sugli equilibri interni di ciascun partito.

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Nei prossimi mesi, pertanto, ci toccherà assistere alle crescenti fibrillazioni del quadro politico imputabili a quelle lotte intestine di cui abbiamo già visto i prodromi in occasione delle elezioni presidenziali. La politica italiana si sta lentamente trasformando in un terrificante campo di Agramante nel quale ogni parlamentare è animato dall’unica, esclusiva preoccupazione di conservare il proprio seggio. Oggi più che mai, l’ “interesse generale” è il vezzo retorico dei soliti benpensanti che seguitano a baloccarsi nell’illusione che il Parlamento sia in grado di rappresentare davvero i bisogni del cittadino. In verità, come abbiamo rilevato in altre occasioni, la democrazia rappresentativa si è dissolta da tempo dato che, senza le preferenze, il cittadino è chiamato solo ad avallare le scelte delle segreterie di partito: la ratifica ha, di fatto, soppiantato la rappresentanza. In questo senso, le geremiadi di questi mesi contro lo strapotere dell’esecutivo nascondono una verità che si finge di non vedere: è stata la mediocrità di questa classe politica a consentire al premier di ritagliarsi quel ruolo debordante che ha ridotto le Camere ad un “bivacco di manipoli”.

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con il Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati e con il Presidente della Camera Roberto Fico,al Parlamento in seduta comune per la cerimonia di giuramento
(foto di Francesco Ammendola – Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

 

Destra e sinistra, pertanto, rischiano di implodere per le ragioni appena addotte nonché per le incertezze legate ad una legge elettorale che, nella medesima ottica, sarà concepita per garantire la stabilità, non già al sistema politico, ma al seggio parlamentare. La politica italiana, pertanto, si vede condannata a vivere questa sorta di entropia che la straripante presenza di Mario Draghi contribuisce ad alimentare.

A sinistra, il movimento 5 Stelle rischia di liquefarsi a causa dello scontro tra Conte e Di Maio sul quale aduggia l’ombra silente del fondatore, Beppe Grillo, di cui tutti attendono frementi il responso provvidenziale.

Per Enrico Letta non sarà facile convivere con le inquietudini dei 5 Stelle contro i quali continua a lanciare strali, senza requie, il solito Renzi che spera di raccogliere il lascito elettorale di Berlusconi con la benedizione di Verdini e di quella nutrita masnada di furbastri che, in vista del proporzionale, vagheggia il “grande centro” per poi giocare al rialzo.

Sull’altro versante, con il declino del Cavaliere, emerge in modo dirompente la mancanza di una figura in grado di far coesistere tre forze culturalmente antagoniste. Non dimentichiamo, infatti, che per decenni il centro-destra è riuscito a coniugare l’anima europeista di Forza Italia, l’anima localista della Lega e quella nazionalista di Fratelli d’Italia. Il vero cemento di questa alleanza è sempre stato Silvio Berlusconi che ha saputo trasformare in cultura di governo la domanda di potere proveniente da quei settori della società civile che non hanno mai sopportato lo Stato, il fisco, la sinistra, i sindacati, la magistratura. Grazie al carisma e alla potenza di fuoco delle sue televisioni, il Cavaliere ha chiamato a raccolta una parte del paese inaugurando una contrapposizione ideologica che, come un fiume carsico, aveva sempre attraversato il corpo sociale ma che, all’epoca della prima Repubblica, la Democrazia Cristiana aveva sapientemente addomesticato. Senza Berlusconi, per la destra si impone la necessità di sciogliere le antinomie identitarie che dicevamo e, quindi, di saper dialogare con l’Europa. In questo senso, la scelta tra lepenismo ed europeismo rappresenta una priorità indifferibile dato che non si può pensare di beneficiare dei denari del Recovery per poi flirtare con Putin e Orban. Per una volta, diamo prova di coerenza e di onestà. Per una volta!  

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